Per i giovani under 35 italiani il lavoro ideale non si misura più solo in termini di stipendio o benefit aziendali, ma soprattutto in base alla qualità della vita lavorativa e alla possibilità di gestire il proprio tempo in modo flessibile e autonomo.
È quanto emerge con forza dalla XXXV Indagine “Giovani & Lavoro” 2025 di Gidp (Gruppo italiano direttori del personale), che ha coinvolto 4500 manager delle risorse umane durante il primo semestre 2025.
Secondo lo studio, tra i giovani la priorità numero uno nei colloqui di lavoro è poter contare su un’attività lavorativa “giusta”, fatta di equilibrio tra orari e tempo libero e soprattutto di autonomia nella gestione delle proprie mansioni, anche attraverso la possibilità di lavorare da remoto. Al primo posto si colloca dunque la ricerca di un ambiente che permetta un’organizzazione flessibile e indipendente, mentre la retribuzione finisce al secondo posto nelle preferenze. Seguono la chiarezza sui ruoli e le mansioni.
Questa inversione di priorità è un segnale evidente del cambiamento in atto nel concetto stesso di “buon lavoro” secondo la nuova generazione.
Non conta solo quanto si guadagna, ma soprattutto come si lavora e quanto significato si attribuisce alla propria attività professionale. Anche il tempo libero — e la sua qualità — hanno acquisito un valore che in molti casi supera quello economico.
Eppure, se da un lato la domanda dei giovani per condizioni di lavoro più umane e flessibili è chiara, dall’altro l’offerta delle aziende stenta ancora a rispondere in modo adeguato.
Nel 2024, i lavoratori da remoto in Italia sono 3,55 milioni, con un leggero calo rispetto all’anno precedente.
Le grandi imprese garantiscono in media sembianze di smart working per circa nove giorni al mese, mentre la Pubblica amministrazione scende a sette e le medie e piccole imprese a sei giorni e mezzo.
Dopo il boom del lavoro ibrido registrato durante la pandemia, molte realtà aziendali mantengono posizioni di cautela e, in certi casi, stanno persino riducendo le possibilità di flessibilità.
Gli elementi effettivamente garantiti ai lavoratori al momento vedono ancora la retribuzione, la chiarezza dei ruoli e le opportunità di crescita interna prevalere sulla flessibilità, che rimane al quarto posto. Questa discrepanza tra ciò che i giovani chiedono e ciò che ricevono sul mercato crea una “disconnessione” tra la nuova generazione e il mondo del lavoro, con il rischio di aumentare insoddisfazione e frustrazione.
È chiaro dunque che, per attirare e trattenere talenti giovani e motivati, le imprese italiane dovranno ripensare le proprie politiche di lavoro, ponendo al centro la qualità della vita lavorativa, la flessibilità e l’autonomia.
Perché, al di là degli stipendi, il vero valore per molti giovani oggi è il tempo — tempo da vivere, tempo per sé, tempo che non si può comprare con nessun benefit.




